cescoballa ha scritto: ↑18/01/2020, 21:44
Ciao Massimo, sabato scorso mi hai detto che ti avevano chiamato per dirti che eri in lista per la mostra
, se puoi farci un resoconto sul forum te ne sarei grato
.
Caspita, mi fai venire l'ansia!
Fare un resoconto è un po' complicato nel senso che non riesco a dare un giudizio univoco dell'esperienza ma ci sono una pluralità di aspetti che valuto in maniera differente. C'è prioritariamente l'aspetto artistico, poi la "performance" in sé, la questione nudità, i partecipanti, la logistica. I vari aspetti poi si intersecano l'uno con l'altro e non sono riuscito ancora a fare una sintesi.
Provo a buttare giù le mie impressioni senza razionalizzare troppo.
Alle mostre in genere vado non preparato per cercare di non farmi influenzare nella fruizione delle opere. Per la mostra
Australia. Storie degli Antipodi le mie aspettative derivavano dal mio immaginario su questo grande paese, su ciò che ho letto (Bryson, Bonatti), visto al cinema o nei documentari. In esposizione non c'è quasi nulla di tutto ciò, non c'è il Tempo del Sogno (o non lo ho visto), anche gli artisti aborigeni usano un linguaggio moderno ed hanno dei riferimenti culturali molto simili a quelli dei "bianchi/occidentali". Le opere esposte non sono molte, problema tipico di molte mostre milanesi, ed il tema principale è quello degli effetti della conquista dell'Australia da parte degli europei, la distruzione della cultura aborigena, la violazione dei diritti degli aborigeni, la distruzione della natura e del rapporto uomo/natura. Anche se i temi sono specifici di quel luogo e di quella cultura, i mezzi per esprimerli sono quelli noti ed usati dagli artisti moderni nel mondo occidentale.
Dal punto di vista artistico non mi sento di dare un giudizio per mia ignoranza, non conosco gli artisti esposti, non so se e quanto siano rappresentativi del panorama culturale australiano, meglio che ognuno si formi una sua opinione andando a vedere la mostra.
La performance
Naturist tour di
Stuart Ringholt è l'aspetto dell'esperienza che mi ha più deluso. Anche in questo caso si tratta di aspettative mie disattese. Mi aspettavo un qualche tipo di interazione tra i partecipanti e le opere esposte in relazione alla nudità ma questo non è avvenuto, la mia sensazione è stata di nudità fine a se stessa. Siccome non vorrei che questo venisse interpretato come un giudizio negativo sul visitare un museo nudi (o vestiti come pare e piace), sto parlando solo dello scopo della performance.
A questo mio giudizio concorrono vari fattori. Lo scopo dichiarato dall'artista era molto interessante e costituisce la poetica di molti dei suoi lavori: mettersi in condizioni di disagio ed imbarazzo per riuscire a superare le proprie paure. Forse era così per Ringholt ieri sera. Il problema è che la maggior parte dei partecipanti mi è sembrato già abituato alla nudità (qualcuno probabilmente era tornato da pochi giorni da Fuerteventura...) e l'esperienza si è ridotta a visitare un museo nudi.
Non credo sia possibile al momento eseguire la performance in maniera diversa. Forse solo eseguendo dei tour all'improvviso, durante i normali orari di apertura si potrebbe ottenere quel minimo di disagio che darebbe senso alla cosa (qualcosa del tipo: "Sono Stuart Ringholt, da questo momento chi lo desidera si può spogliare e seguirmi mentre vi parlo delle opere esposte, chi non lo desidera può continuare a visitare la mostra vestito").
Forse avrei dovuto iscrivermi anche all'altro workshop di Ringholt sulla gestione della rabbia.
Probabilmente aveva un senso la richiesta dell'artista di "escludere" i naturisti ma evidentemente c'è molta gente non naturista che è comunque abituata alla nudità.
Non ho gradito per niente il calo di attenzione avvenuto dopo circa un'ora con persone (principalmente 5/6 donne/ragazze) che chiacchieravano disturbando le spiegazioni.
Interessante invece l'atteggiamento molto tranquillo di tutti i partecipanti nella fase finale della serata, durante il drink. Quasi nessuno è fuggito immediatamente al termine della visita.
I partecipanti erano 20% donne, 80% uomini, di età abbastanza giovane, forma fisica buona, tipologie un po' diverse da quelle che si vedono sulle spiagge naturiste o negli eventi organizzati dalle associazioni e dai gruppi naturisti. In sintesi non erano rappresentativi della popolazione milanese/lombarda/italiana.
A richiesta di Ringholt solo in 2 abbiamo alzato la mano per dichiararsi appartenenti ad una associazione naturista, qualcuno ha anche affermato che in Italia non esistono associazioni. Su quest'ultimo aspetto bisogna evidentemente lavorare.
Non mi sono piaciuti la carta da pacchi all'ingresso per evitare sguardi indiscreti da fuori (l'ingresso è da un cortile ed eravamo al di fuori degli orari di apertura del PAC), il riscaldamento non tenuto acceso un po' più a lungo (ma a Milano lo smog è sopra i limiti da giorni, meglio così), il dover aspettare il via dell'artista per potersi spogliare anche parzialmente (sono arrivato in bici, ero accaldato). Fuori luogo l'invito iniziale di Ringholt ad evitare contatti con le altre persone o atteggiamenti di tipo sessuale ma temo avesse dei buoni motivi per ribadirlo.
Mi è piaciuta l'idea di poter entrare in un museo e visitarlo (non) vestito come mi pare.
Se ben organizzato e preparato, ritengo ci sia la disponibilità del PAC di ripetere l'esperienza anche per altre mostre.
ciao
Massimo